Chi ha paura del gender? Incontro con Michela Marzano

Un approfondimento sul genere, l’orientamento sessuale, il sesso biologico, la maternità e le stepchild adoptions.

Risulta sempre più difficile, in questi ultimi mesi, parlare di tematiche come genere, orientamento sessuale, transessualità; quando poi si affrontano, si nota in molti casi una certa superficialità o, cosa ancor peggiore, parecchia confusione.
I fatti di cronaca, inoltre, non fanno altro che confermare l’ovvio ma inquietante rapporto tra l’ignoranza data da un approccio acritico e le
discriminazioni. E queste spesso sono anche violente: la settimana scorsa a Parigi un branco di omofobi ha pestato due ragazzi mentre uscivano da un locale, solamente perché gay e innamorati. È solo il più recente di una continua serie di atti deplorevoli e disumani che macchiano la nostra società – quella che dovrebbe essere laica, civile, tollerante, secondo quanto insegnatoci dai padri dell’Illuminismo, dalle Rivoluzioni americana e francese, dalle guerre mondiali, dall’orrore dei regimi totalitari.
Invece siamo ancora alla ricerca del «diverso» su cui riversare le nostre nevrosi, poco importa che sia ebreo, di pelle scura, di fede mussulmana o cristiana (sono duecento milioni i cristiani perseguitati nel mondo, per dire).

Ci sono però degli strumenti di conoscenza che possono aiutarci a prevenire le discriminazioni, a combattere i pregiudizi e, più in generale, a fare chiarezza anche nella mente di coloro che, pur non discriminando nessuno, non conoscono ciò di cui parlano quando nominano certi termini, come ad esempio «gender» o «ideologia gender».

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Michela Marzano. Credits: tralaltro.it

Una ricerca accurata sul web o nelle biblioteche può essere certo d’aiuto; un altro di questi strumenti è il nuovo libro di Michela Marzano, Papà, mamma e gender, presentato nelle aule universitarie di palazzo Bo, a Padova, il 14 novembre scorso.
L’autrice è mossa proprio dall’intento di superare la crescente confusione di termini e di concetti nell’ambito dell’omosessualità e propone un breve glossario alla fine del saggio per diradare i dubbi. In sostanza, si ribadisce il fatto che l’orientamento sessuale (ad esempio,il fatto che un ragazzo sia attratto da una ragazza o da un altro ragazzo o da entrambi) non è mai connesso con la natura biologica (maschile o femminile) né con l’identità di genere.

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In Veneto sempre più discriminazione, anche nei confronti della comunità gay

Ancora una volta l’Italia fa parlare – male-  di sé:  i riflettori sono puntati su Venezia, o meglio, sul suo nuovo sindaco Luigi Brugnaro che, dopo aver deciso di proibire l’adozione nelle scuole di alcuni libri per bambini, accusati di diffondere la «teoria del gender» (che, ricordiamo, non esiste), ha deciso di superarsi vietando categoricamente i gay pride nella sua città.

A rispondere per primo alla decisione di far sparire dalle scuole qualsiasi libro osasse andare contro la «famiglia tradizionale» è stato sir Elton John, il famoso cantautore britannico, gay dichiarato e padre di due bimbi, che si è scagliato contro Brugnaro e la sua decisione di «politicizzare i libri per bambini» in un post su instagram, definendolo «bifolco e bigotto».

Credits: magazinedelledonne.it

Credits: magazinedelledonne.it

Come se la polemica sui libri sequestrati non fosse stata abbastanza, il 26 agosto scorso, in un’intervista a Repubblica, il sindaco ha dichiarato che nella sua Venezia quella «buffonata, il massimo del kitsch», come lui ha definito il gay pride, non avrà mai luogo. La notizia ha scatenato polemiche da parte delle associazioni LGBTQI ma ha anche attirato l’attenzione della stampa estera: il Guardian prende in giro la città veneta facendo notare come «ospiterebbe volentieri gigantesche navi da crociera nei suoi canali e orde di turisti nelle sue vie strette e tortuose. Ma la città di Venezia non giudicherebbe appropriato organizzare un gay Pride, finché l’attuale sindaco di destra sarà in carica, come ha detto lo stesso politico (Brugnaro, ndr)».

Nonostante la fermezza con cui si era espresso, appena due giorni dopo la sua dichiarazione Brugnaro ha deciso di tornare sui suoi passi, lanciando pure l’idea di un pride lungo il Canal Grande, il primo «gay pride sull’acqua», «magari con Elton John che vi partecipa e suona per noi».

Sicuramente avranno contribuito a questo cambiamento di rotta anche le varie discussioni nate su Twitter, in cui il sindaco ha voluto precisare che le sue parole sono state mal interpretate e strumentalizzate, nonostante fosse stato proprio lui, in un tweet datato 27 agosto, a paragonare il pride al carnevale.

Invece che fare un passo avanti, ci si prende gioco di un diritto fondamentale, quello di espressione, poiché si privano alcuni cittadini della libertà di poter lottare per i propri diritti – questo è lo scopo del pride, non certo fare una «carnevalata» – diritti che in Italia non sono ancora garantiti.

A proposito di passi indietro, la regione Veneto sembra averci preso gusto: appena ieri è stata approvata la mozione contro il «gender» nelle scuole, con voto contrario solamente di PD e M5S; a presentarla è Antonio Berlato, consigliere di Fratelli d’Italia, il quale chiede di «intervenire nelle scuole di ogni ordine e grado della Regione perché non venga in alcun modo introdotta la teoria del gender», affinché «venga rispettato il ruolo prioritario della famiglia nell’educazione all’affettività e alla sessualità, riconoscendo il suo diritto prioritario ai sensi dell’articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo». Ma la cosa peggiore è che l’aumento di sessualizzazione precoce, abusi sessuali e pedofilia è stato direttamente imputato all’accettazione del gender, come –secondo Berlato- è accaduto in Inghilterra e Australia.

Non solo si ignora completamente che questi terribili fenomeni sociali possano derivare da altri fattori (l’oggettivizzazione della donna, per esempio?), ma ci si pone anche in una posizione di finta difesa dell’infanzia. Invece di educare all’accettazione del diverso e di spiegare la realtà dei fatti, si condannano ad un clima di ancor maggiore isolamento, discriminazione, confusione e disinformazione le nuove generazioni di individui LGBTQI. Si difendono alcuni bambini, ma non altri.

Insomma, non sia mai che a dei poveri bambini innocenti venga insegnato che una famiglia deve basarsi sempre e solo sull’amore, indipendentemente dal sesso dei genitori; potrebbero accadere delle cose orribili, come l’invasione aliena, le dieci piaghe d’Egitto, la terza guerra mondiale e lo sterminio dell’intera razza umana.

Mentre il resto del mondo continua ad espandere i suoi confini, abbattendo i limiti dell’ignoranza e del bigottismo, noi costruiamo dei veri e propri muri di cemento armato, con tanto di filo spinato in cima.

L’Irlanda ha detto sì!

Oggi si è finalmente mosso un importante passo in avanti verso la conquista dei diritti civili, una giornata storica per la comunità LGBT: l’Irlanda ha deciso di tingere la sua bandiera dei colori dell’arcobaleno, dicendo sì ai matrimoni fra persone dello stesso sesso.

Il referendum, per cui si è votato ieri e di cui abbiamo avuto i risultati solo qualche ora fa, ha decretato che il popolo irlandese si è schierato a favore dei pari diritti, scegliendo di inserire nella Costituzione il seguente enunciato: «Il matrimonio può essere contratto per legge da due persone, senza distinzione di sesso»; un evento decisamente speciale nella storia dell’Irlanda, che diventa, quindi, il primo paese a legalizzare i matrimoni gay tramite voto popolare.
A dare la lieta notizia è stato, primo fra tutti, il ministro per le pari opportunità Aodhan O’Riordain con un semplice tweet alle dieci del mattino di oggi, quando il conteggio dei voti era cominciato da poco; si è rivelato dunque veritiero il sondaggio della scorsa settimana, pubblicato dall’Irish Times, che affermava che il 70% della popolazione irlandese si proclamava favorevole ai matrimoni omosessuali.

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In occasione dell’apertura dei seggi, avvenuta alle 9 del mattino di ieri, moltissimi lavoratori, stabilitisi all’estero per ragioni economiche, hanno deciso di ritornare nel proprio paese per contribuire al cambiamento, immortalando alcuni momenti del viaggio e segnalandoli con l’hashtag #hometovote.
Il voto si è concluso alle dieci di ieri sera, ma solamente questa mattina sono cominciati i primi conteggi, che hanno subito rivelato la maggioranza schiacciante dei sì.

I social sono letteralmente impazziti negli ultimi due giorni, Twitter in particolare, che ha visto l’hashtag #Irelandvoteyes raccogliere più di 16000 tweets e rientrare tra le tendenze mondiali; un vero e proprio boom, con migliaia e migliaia di foto e stati che gridavano «sì».
Anche il mondo dello spettacolo ha deciso di dare il proprio appoggio alla causa: artisti internazionali come Hozier, Christina Perri, Ed Sheeran e Niall Horan hanno dato il loro contributo, pubblicando sul social network trifogli arcobaleno o semplici primi piani in cui mostravano un cartello con scritto «Yes Equality, I’m ready to vote»; particolarmente significativo è stato il contributo di Colin Farrell, l’attore di origini irlandesi il cui fratello ha apertamente dichiarato la sua omosessualità ed è stato costretto ad emigrare in Canada per potersi sposare.

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Una svolta decisamente positiva per la cattolicissima Irlanda, che rientra in questo modo nella lista dei paesi europei che hanno legalizzato il matrimonio omosessuale, in tutto ventuno, tra cui manca il nome dell’Italia.

In particolare, a contribuire alla vittoria dei sì, è stata la notevole partecipazione della fascia più giovane della popolazione, quella tra i 18 e i 25 anni, che ha registrato 400 mila votanti, ragazzi che hanno deciso di essere parte determinante di un cambiamento rivoluzionario per un paese conservatore come l’Irlanda, dove il divorzio è stato legalizzato solo nel 1995, mentre l’aborto rimane tutt’ora illegale, a meno che la gravidanza non comprometta la vita della madre.
Un evento di impatto mondiale, un’importante testimonianza della voglia di cambiamento che c’è nell’aria, del bisogno di rivalsa di chi si sente incriminato e deriso da una società che, a piccoli passi, si sta muovendo verso un futuro migliore, non più in bianco e nero, ma ricco di colori unici e brillanti; è proprio il caso di dirlo:«Un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità!». (cit. Neil Armstrong, ndr)

17 maggio: scendiamo in campo contro l’omofobia

Oggi, in tutto il mondo, si celebra la giornata contro l’omofobia; il 17 maggio del 1990, infatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità rimosse l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali. Venticinque anni dopo, questa giornata rappresenta un’ottima occasione per ricordare che l’amore non conosce limiti né generi e che ad ogni essere umano deve essere garantito il diritto di essere libero e di amare indipendentemente da ciò che alcuni ritengono “giusto” o “naturale”.
È la giornata adatta anche per non dimenticare tutte le vittime dell’odio omofobo degli ultimi anni, ragazzi e ragazze perseguitati semplicemente per aver avuto il coraggio di uscire allo scoperto, di spogliarsi degli abiti che la società voleva imporre loro e di indossarne altri, più colorati e vivi, che li rappresentano e li valorizzano, per vivere una vita migliore, libera dalla paura; persone innocenti, schiacciate dalla pesantezza di un’ignoranza che, purtroppo, ci trasciniamo ancora dietro.
Il 22 maggio in Irlanda si terrà il referendum per le unioni civili, che decreterà se, finalmente, il diritto al matrimonio potrà essere celebrato senza distinzioni di sesso; in occasione di questa data, che potrebbe essere storica per la comunità LGBT, l’artista Joe Caslin ha realizzato un bel murales in una delle zone più trafficate di Dublino, mentre una fotografa irlandese, Debbie Hickey, ha deciso di servirsi dei personaggi dei Lego per immortalare manifesti a favore del sì.

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In Italia il cammino verso il riconoscimento dei pari diritti è ancora decisamente molto lungo e travagliato. Come mostra il report di Arcigay sul bullismo omofobico nelle scuole superiori, nel 2014 in Friuli Venezia Giulia «più del 43% degli studenti ha assistito ad atti di bullismo omofobico, oltre il 30% dichiara di aver subito aggressioni omofobe verbali o comportamentali, più del 10% dichiara di aver compiuto atti omofobi».
Per questo è molto apprezzabile il gesto del Ministero dell’Istruzione che, con una circolare inviata a tutte le scule italiane, ha affermato «Nello svolgere tale prezioso lavoro ogni giorno, le scuole educano al contrasto dell’omofobia e di ogni altra forma di discriminazione. Solo con l’educazione si superano i pregiudizi e gli stereotipi ancora presenti nella nostra società, in tal senso la scuola deve fornire gli strumenti, le metodologie e deve attivare tutte le necessarie pratiche per interventi di prevenzione». Speriamo che il messaggio venga colto.

Secondo la classifica Ilga (International Gay Lesbian Association), poi, per quanto riguarda i diritti civili il nostro paese è al 34esimo posto sui 49 stati europei considerati.
Ma, tra le nuvole, si riesce a vedere qualche spiraglio di sole: giusto qualche giorno fa c’è stata una commovente richiesta di matrimonio di un uomo ad un altro uomo ad Italia’s Got Talent, un scena decisamente inconsueta per la televisione italiana, pienamente incoraggiata e sostenuta dai quattro giudici del programma.

Un’ iniziativa studiata ad hoc per il 17 maggio ha come centro la città di Bologna, in cui il circolo Eagle Nest-RED ha deciso di lanciare la campagna “Gay, lesbica, trans: 100% umani – le etichette lasciamole ai vestiti“: in giro per la città sono esposti dei manifesti che promuovono la lotta contro l’omo-transfobia, e chiunque vi passi di fianco è invitato ad inviare un suo selfie con i cartelloni alle spalle e inviarlo a direzione@redbologna.it, che lo pubblicherà su Facebook, per dimostrare al mondo che l’amore non giudica.

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E oggi, in moltissime città italiane, si leveranno i cuori delle Piazzate d’Amore, il flashmob promosso da Arcigay che sostiene la battaglia per il matrimonio egualitario. #‎LoStessoSi è l’hashtag che sui social media sta caratterizzando questa mobilitazione, a cui hanno partecipato molti volti noti dello spettacolo.

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Anche la musica, da tempo, ha cominciato a schierarsi dalla parte di chi urla a gran voce «love is equal», contribuendo a sgretolare, nota dopo nota, i pregiudizi. Same Love di Macklemore e Ryan Lewis è l’inno perfetto di questa giornata, una canzone che ci ricorda che dovremmo progredire invece che regredire, che invita a mettere da parte stereotipi e convinzioni religiose, che incita a prendere coraggio e ad essere se stessi. Il pezzo è stato il protagonista assoluto della cinquantaseiesima edizione dei Grammy Awards del 2014, con una performance commovente durante la quale Queen Latifah ha officiato il matrimonio di ben trentatré coppie eterosessuali e omosessuali, indifferentemente, tra la commozione degli sposi e i fragorosi applausi del pubblico che è esploso durante il finale, quando sul palco è salita anche Madonna a chiudere, con la sua canzone Open your heart to me, le promesse degli innamorati. Un evento unico e d’impatto che ha mandato un messaggio importantissimo a tutto il mondo: quando si parla di amore, non esistono né regole né limiti e, soprattutto, siamo tutti uguali e meritiamo tutti gli stessi identici diritti.

Ha collaborato Elena Ferrato

Dublino, la street art a favore dell’amore

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Manca ormai poco più di un mese al referendum in Irlanda che decreterà se le coppie gay avranno o no la possibilità di unirsi in matrimonio; i cittadini sono chiamati a votare il 22 maggio e dalle stime pare ci siano buone probabilità a favore del sì. In occasione di questa data così importante, aumentano le iniziative volte a sensibilizzare la popolazione e a convincere anche coloro che sono contrari: è questo il caso di un murales in stile realistico realizzato dallo street artist Joe Caslin su un palazzo che si trova ad uno degli incroci più frequentati di Dublino. Questo disegno occupa l’intera facciata dell’edificio, situato tra George’s Street e Dame Street, ed è impossibile da ignorare, non solo per i suoi particolari ben studiati e per la bellezza artistica in sé; lo scopo è quello di evidenziare quali cambiamenti positivi potrebbe portare quel «sì» nella vita di milioni di persone. Due uomini in bianco e nero si scambiano un tenero abbraccio, un gesto semplice e quotidiano, una dimostrazione d’amore e di affetto così banale eppure così significativa: si stringono come se si conoscessero da sempre, come se avessero paura di perdersi, due amanti che rappresentano, forse, l’intera comunità gay irlandese, in attesa. Sarebbe sicuramente un traguardo per la comunità LGBT che, nonostante le discriminazioni e le lotte ancora in atto, passo dopo passo sta cercando di abbattere le barriere dell’ignoranza e dell’odio per raggiungere un diritto umano fondamentale: quello di amare liberamente, di costruire una famiglia e avere un futuro, senza le polemiche di quella parte della società troppo bigotta e ignorante per essere in grado di riconoscere l’amore a livello universale.

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Un dettaglio dal disegno del progetto. Credits: Joe Caslin, Facebook.

Conchita Wurst, il personaggio dell’anno è a Padova

Oggi vi parlo di Conchita Wurst!

L’omofobia non esiste solo il 17 maggio

Il mio articolo settimanale su La Voce Che Stecca.

Voi siete pronti a combattere per la libertà di tutti?

Si potrebbe sintetizzare così la lunga mail inviata agli inizi di aprile da una giovane studentessa milanese, Laura, al quotidiano cattolico “Avvenire”, lettera interessante e per nulla scontata, che a mio parere merita di essere diffusa. A distanza di un mese, non è mai giunta alcuna risposta.

Laura sul suo profilo facebook scrive:

Leggendo “Avvenire” mi sono imbattuta nell’ennesimo articolo sulla famiglia targato Lucia Bellaspiga. Così ho deciso di mandarle questa email per farle capire che la dovranno anche smettere, prima o poi, di sentenziare così.
“Buonasera, chi Le scrive questa email è una ventunenne. Mi è capitato tra le mani, per sbaglio, il vostro articolo intitolato: “Gender in classe: mondo capovolto”.
Le scrivo in quanto sono sicura che Lei sia aperta al confronto con una realtà non necessariamente simile, ma non per questo sbagliata, alla Sua. Vorrei, se ha voglia di perdere una manciata di minuti a leggere quanto ho da dirLe, premetterLe che sono un’amante della libertà in ogni sua sfaccettatura: libertà in campo economico, libertà in campo morale, libertà in campo religioso, libertà in campo culturale, qualsiasi cosa, purché di libertà si tratti. Io credo fortemente che tutto ciò che riguardi la sfera privata dell’individuo debba essere soggettivo e scevro da qualsiasi genere di giudizio. Mi spiego: io ho un concetto di giustizia e Lei ne avrà un altro, io ho un concetto di bellezza e Lei ne avrà un altro ancora, io ho un concetto di arte e Lei differirà dal mio, io ho un concetto di Dio molto diverso dal Suo, io ho un concetto di famiglia e Lei ne ha in mente un altro. Lungi da me gridare a gran voce che il mio concetto è giusto e il Suo sbagliato. Mi limito a dire che il mio concetto è giusto per me e il Suo concetto è sbagliato per me. Questo stesso atteggiamento, purtroppo, non lo riscontro nel mondo cattolico. Avete questo modo di fare che sembra voglia dire: “Quello in cui credo io dev’essere Legge universale”. Mi spiego ulteriormente: voi siete liberi di professare il vostro Credo, di manifestare le vostre idee e di portare avanti i vostri concetti di giustizia, ma non potete pretendere che questi stessi vostri concetti siano i concetti di tutti. Perché dico questo? Perché, per me, la mia libertà finisce dove inizia la libertà dell’altro, ma voi avete il brutto vizio di lasciare che si prolunghi anche quando essa invade la sfera altrui. Le faccio un esempio: se Lei si trovasse davanti a una scelta che può essere: “Adozioni gay (che brutta definizione, poi): legalizzare o non legalizzare?” e dicesse: “Io ho un mio concetto di famiglia che è fatta di uomo, donna e bambino, ma proprio perché amo la libertà, allora, non privo al mio prossimo di potersi sposare e di poter crescere dei figli”, sarebbe una grande amante della libertà. Perché? Perché i suoi ideali non andrebbero a recar danno alla vita del concittadino o, meglio dire, del fratello (siamo o no tutti figli di Dio?). E invece dicendo: “No, la mia idea di famiglia non corrisponde alla loro e, insieme a tanti altri no, non legalizzo i matrimoni e le adozioni per le coppie di fatto”, sta privando della libertà il concittadino/fratello. Questo è giusto? Come se io, non cattolica, privassi della libertà di culto tutti voi dicendo che, no, Dio non è mai esistito. Perché questo fate: imponete il vostro Credo. Fino a prova contraria l’Italia risponde alla Costituzione e non alla Bibbia e, se i miei studi presso la Facoltà di Giurisprudenza non mentono, l’art. 29, l’art. 30 e l’art. 31 parlano chiaramente di famiglia, il primo, riconoscendola come società naturale fondata sul matrimonio (il continuo “uomo e donna” non lo vedo), dei genitori, il secondo, senza menzionare il loro genere sessuale, e di agevolazioni e protezione, il terzo, per tutte le famiglie, ma neanche qui vedo accenni all’uomo e alla donna. La Bibbia non sarà sicuramente d’accordo con quanto dice la nostra vecchia e cara Costituzione, ma fino a prova contraria siamo governati dallo Stato e non dalla Chiesa (anche se è proprio lei a governarci a tutti gli effetti). Mi chiedo, perciò, perché io dovrei vedermi privata dei miei diritti solo perché il mio orientamento sessuale non corrisponde al vostro (o a quello tradizionale, ma tradizionale vuol sempre dire giusto? Perché anche mangiare l’agnello a Pasqua è una tradizione, ma reputo che questo non sia molto corretto..)? Dovrei rinunciare ad una famiglia solo perché un gruppo di benpensanti mi nega la libertà di crearmela? Questa è libertà? Parlate di una morale che non corrisponde né alla mia né a quella di tante altre persone, ma con la differenza che io la mia morale non la impongo. Io pretendo solamente equi diritti e doveri che vanno al di là di un orientamento sessuale, di una problematica fisica o mentale, di una diversa etnia o un diverso credo religioso. E invece no. Dobbiamo chinare la testa alle vostre idee. Che poi, parliamoci chiaramente: quali gravi conseguenze subirebbe la Società (come se ora vivessimo in una bella Società)? Che Lei sappia, forse, Belgio, Spagna, Irlanda, Danimarca, Regno Unito, Francia, Canada, Argentina, Uruguay, Sud Africa e Nuova Zelanda, hanno avuto problemi con l’aumento del tasso di omosessualità tra la popolazione o episodi di suicidi tra bambini che non volevano due papà o matrimoni eterosessuali non celebrati o figli di eterosessuali rapiti o contaminazione o sterminio o chissà quale altra catastrofe naturale? A me non pare, anzi. Mi sembrano Paesi, per quanto abbiano anche loro i propri problemi, che se la passano meglio di noi. Sarà che l’intelligenza in campo etico accompagna spesso l’intelligenza in campo economico? Sarà che a farsi gli affari propri si campa veramente cent’anni? Lo scopo di quest’email non è di certo costringerla a pensarLa come me, ci mancherebbe! Amante della libertà quale sono non vorrei minimamente che Lei la pensasse come me se non fosse spinta da proprie convinzioni, ma quello che non voglio, e di questo ne sono certa, è la continua morale che si aggira dalle vostre parti sempre pronta a sentenziare su ciò che è giusto e sbagliato. Non sarebbe meglio, forse, guardare un po’ in casa propria lasciando perdere quella degli altri? Perché prima di parlare di immoralità fuori dalla Chiesa io, personalmente, mi occuperei di quella che c’è dentro. Ho letto nel suo articolo che parla di “eterofobia” e della necessità, sarcasticamente parlando, di una legge che protegga gli eterosessuali dalla lobby omosessuale. Beh, mi dispiace contraddirLa, ma fino a prova contraria non si è ancora sentito che un omosessuale picchi un eterosessuale perché eterosessuale. Del contrario, invece, ne sono pieni i giornali. Omosessuali picchiati, ragazzini nelle scuole derisi, uomini e donne uccisi e rinchiusi (ciò avviene davvero in molti altri Stati). Di eterosessuali maltrattati non ne ho mai sentito parlare. Magari non sono informata. E se voi foste davvero contro ogni tipo di discriminazione sareste stati sicuramente a favore del progetto di legge contro l’omofobia, ma così non è avvenuto. Siete talmente contro ogni discriminazione che quando vi chiedono se siete d’accordo riguardo un’aggravante da infliggere qualora Y picchiasse X in quanto omosessuale, dite di no. Gli opuscoli che Lei tanto critica sono, ahimè, necessari in quanto i genitori non sanno educare (al contrario non fanno altro che diseducare alla diversità) e, di conseguenza, serve qualcuno che dica ai bambini che esistono altre realtà, ma non per questo sbagliate solo perché diverse dalla nostra. Se questo lavoro d’educazione lo facessero i genitori, beh, risparmieremmo volentieri i soldi degli opuscoli. E invece no. Deve intervenire lo Stato ad educare i figli, ma soprattutto i genitori. Perché la radice di ogni discriminazione parte proprio dalla famiglia. Inoltre, nel Suo articolo, ha aggiunto che bisognerebbe occuparsi anche di quei bambini che vengono presi in giro in quanto chierichetti. Bene: mi faccia qualche esempio concreto e combatterò anche per loro (anche se i telegiornali finora hanno parlato di ragazzini suicidi per altri motivi..). Combatterò anche per loro perché sono contro qualsiasi genere di discriminazione. E perderei la voce a furia di gridare per chiunque ne avesse bisogno: omosessuale, disabile, credente, ateo, musulmano o chicchessia.
Voi siete pronti a farlo?”