Italia e social network, tra dipendenza e valore

Cosa fa l’italiano medio quando si sveglia una tranquilla domenica mattina? Si stiracchia tra le coperte, sbadiglia, si alza dal letto per avviarsi verso la cucina in vista di una colazione, ma nel mentre o prima ancora, apre il suo smartphone ed entra su Facebook, Instagram o Twitter.

Dopo questo atto dovuto, cioè dopo aver controllato quali nuove notifiche gli ha riservato il mondo virtuale, il suo animo è più in quiete: non ha più il dubbio di essersi perso le peripezie della serata precedente di qualche amico o di non avervi cliccato «mi piace», o addirittura di non essersi accorto di essere stato taggato in qualche foto o post che dovrà al più presto commentare.

Di cosa sto parlando? Ma ovviamente della dipendenza cronica della popolazione italiana da social network. E per quelli di voi che non hanno dimestichezza in questo ambito, chiudete questo articolo e correte subito a farvi una vita sociale, scaricando sul vostro tecnologico cellulare una qualsiasi applicazione che vi permetta di creare un profilo col vostro nome e i vostri dati e di scambiare allegramente rapporti digitali con altri profili.

Non avete uno smartphone? Allora non siete degni di essere chiamati italiani.

L’Italia ormai è il portabandiera in Europa della rivoluzione dei social. Infatti l’autorità inglese per le telecomunicazioni, la «Ofcom», prendendo in esame nove tra i paesi più industrializzati al mondo, ha pubblicato un sondaggio secondo cui gli italiani sarebbero al secondo posto in classifica per maggior uso dei social network: in media gli abitanti dello Stivale controllano il proprio smartphone almeno mezz’ora prima di andare a dormire e al massimo venti minuti dopo il risveglio mattutino. Al primo posto, invece, troviamo i giapponesi, che per ora ci battono ma se continueremo a tenere duro potrebbero subire la nostra rivincita. Al contrario, i nostri cugini francesi li surclassiamo già di parecchio, poiché la Francia in questa classifica è il paese che ne fa meno uso.

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Dati del sondaggio Social, Digital & Mobile in Europa nel 2014 pubblicato da We Are Social. Credits: wired.it

Finalmente -oltre all’eterno confronto di cibo e moda- gli italiani possono dire di aver superato in qualcosa i francesi. Vantiamocene. È bello sapere che le nuove generazioni, i cosiddetti «nativi» del mondo di internet, vedano ormai il proprio telefono come una parte integrante della vita, al pari della casa, la bicicletta o le scarpe da ginnastica.

Ma è veramente così nocivo il galoppante utilizzo di telefoni cellulari? Fino a qualche decennio fa si muovevano critiche simili anche riguardo alla televisione; si pensava che più saremmo andati avanti e più la televisione si sarebbe interposta ai veri rapporti umani. Però non mi sembra che dagli anni ’90 ad adesso i bambini passino un numero di ore enormemente maggiore davanti allo schermo. Certo, non è facile infilare un televisore -per quanto a schermo piatto- nella propria tasca. Con i social, quindi, il discorso è diverso: per strada, sui mezzi pubblici e nelle case stesse molte persone passano più tempo a chattare con il proprio cellulare, anziché scambiare qualche parola con un essere umano. Stiamo vivendo l’era della incomunicabilità? Sarebbe un paradosso ammettere ciò, perché questo progresso tecnologico è stato originariamente pensato proprio per incentivare e facilitare la comunicazione; eppure pare che più le vie di comunicazione si accorcino, più i rapporti umani si allontanino.

Tuttavia, forse gli aspetti positivi e utili sono più di quelli negativi in materia di social network e, più in generale, nell’utilizzo di cellulari e rete internet (del resto, abbiamo parlato spesso dell’influenza della tecnologia nella cultura).

Chi è pratico di «new media» probabilmente si starà accorgendo che c’è un ambito in particolare che si sta facendo strada grazie a queste piattaforme: l’arte.

Dalle poesie pubblicate su Facebook ai cosiddetti tweetbook, ovvero conversazioni raccolte in forma di libro digitale da Twitter. Ma basti anche pensare ad Instagram, che nasce con lo scopo di pubblicare in un profilo delle foto modificabili con filtri particolari, democratizzando la fotografia.

Infatti, molti artisti che non sono riusciti a farsi un nome attraverso i canali convenzionali sono adesso molto richiesti e famosi grazie alla promozione della propria arte tramite social network.

Social Networks

Credits: mwmconsultants.co.uk.

È il caso di Meagan Cignoli, artista di New York che ha sfruttato la formula dei Vines, video brevissimi di 6 secondi, con cui ha potuto esprimere la sua personale arte visiva, dopo anni di rifiuti avuti seguendo le più accademiche. Ma è pure il caso di Daniel Arnold, anch’egli newyorkese, che grazie ad Instagram ha raggiunto alta popolarità con le sue foto di homeless o gente comune nella sua città natale scattate dal suo iPhone. Senza dimenticarsi poi di Youtube, sito che permette di creare un proprio canale dove caricare i propri video e che rende celebri i propri iscritti più di ogni altro mezzo. Senza giudicare la qualità, la quantità di youtubers italiani diventati famosi è elevata, e produce soprattutto giovani comici passati successivamente  alla televisione o al cinema. Però, oltre alla parentesi comica italiana, grazie a Youtube a ad un po’ di ingegno e originalità, si può fare strada come filmmakers e, se si viene notati, passare poi nel mondo cinematografico o della televisione, fatto avvenuto più anche all’estero. Ma forse chi viene più notato grazie a questa e ad altre piattaforme sono i musicisti e cantanti, tanto che molte tra le più recenti popstar, famose a livello mondiale, hanno cominciato la propria carriera caricando online i loro video musicali.

Dunque non bisogna tralasciare l’opportunità di usufruire dei social network come veicoli per l’arte e la cultura.

Il problema è che basta poco per cadere in overdose da connessione. Bisognerebbe stabilire delle regole, educare correttamente le nuove generazioni all’utilizzo delle nuove tecnologie disponibili; non donare a nostro figlio un telefono con cui giocare affinché non disturbi la nostra quiete, mentre riposiamo o siamo impegnati in altro. Insegnare il corretto utilizzo di tutto ciò non è facile, ma una volta riuscito si avranno molti più vantaggi che svantaggi.

Dobbiamo accorgerci di avere tra le mani una miniera d’oro: bisogna che capiamo quale intelligente e costruttivo uso potremmo fare dei social network, invece che continuare solo a giocarci.

Soltanto così l’Italia e il mondo intero potranno uscire da questa assuefazione da internet, la quale ci rende nient’altro che un ammasso di zombie deambulanti senza una meta precisa.

Adesso se ci sono domande fate in fretta che devo condividere subito almeno su Facebook e Twitter, e se non guardo What’s App entro venti minuti mi perdo tutte le discussioni più importanti.

Informazioni su Cesare Bisantis

Nato a Padova da genitori calabresi nel 1997, sta ultimando gli studi classici presso il Liceo Tito Livio. Ama scrivere racconti, poesie ed articoli, leggere libri, ma soprattutto ha una spiccata passione per il Cinema. Si considera umilmente un romantico decadente.

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